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I 5 compromessi per la cura delle orchidee in casa

da Micaela Petrilli

In questo articolo riassumo la presentazione, registrata dal vivo a Bologna in occasione di Orchibò 2024, per la quale devo ringraziare l’incredibile ospitalità di Aerado che ha organizzato la manifestazione nella bellissima location del complesso di San Michele in Bosco.

Puoi guardarla qui sotto in versione integrale con le domande finali.

Spesso si pensa che le orchidee siano delicate e difficili da coltivare e non a torto, quante volte muoiono senza avvisaglie di nessun tipo, buttando via tutte le foglie, o vengono invase dai parassiti? Ma perché queste orchidee sono così impossibili?

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Andando ad approfondire scopriremo che orchidee: non sono solo le Phalaenopsis, ma sono diffuse in tutto il mondo, ad eccezione dei Poli. Esistono più di 28.000 specie diverse suddivise in 700 generi. Ci sono dunque infinite possibilità, che vanno oltre la classica Phalaenopsis che vediamo nei supermercati. È incredibile vero?

La maggior parte di loro non cresce nel terreno, ma aggrappata ad altre piante.

Le orchidee esistono fin dai tempi della preistoria e si sono evolute ottimizzando in modo straordinario i loro sistemi di riproduzione e di risparmio energetico per sopravvivere in condizioni non sempre semplici, quindi, altra rivelazione, sono tutt’altro che delicate!

In natura, crescono autonomamente, ma per noi possono sembrare complesse, proprio perché le trattiamo come le altre piante delle nostre zone ma loro vengono da condizioni completamente diverse.

Il segreto consiste nel replicare le condizioni naturali che queste piante troverebbero nel loro habitat, ma all’interno delle nostre case. Dobbiamo trovare un compromesso tra ciò che abbiamo in casa e quello che loro troverebbero in natura. Le mettiamo in un vaso, ma loro vivono con le radici libere, aggrappate alla corteccia degli alberi.

In casa, abbiamo la luce che entra da una finestra, mentre all’aperto hanno accesso al cielo. Le temperature interne sono più stazionarie, mentre quelle tropicali presentano oscillazioni stagionali, pur rimanendo miti. Possiamo dare loro acqua del rubinetto, ma preferirebbero l’acqua piovana. Inoltre, l’aria in casa è sicuramente più ferma rispetto a quella di un ambiente esterno.

Questi sono i cinque grandi compromessi da considerare per incontrarci a metà strada: non possiamo fornire loro una foresta tropicale, e loro non desidererebbero vivere in una casa.

I 5 compromessi per la cura delle orchidee in casa

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1. Il Vaso:

Iniziamo a parlare del primo grande compromesso: il vaso.

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Per noi, l’orchidea è spesso rappresentata dalla Phalaenopsis in vaso. In natura, però, le radici fungono da supporto e ancoraggio sulla corteccia degli alberi, e le foglie, rivolte verso il basso, permettono all’acqua piovana di scivolare via. Qui iniziamo a vedere le prime grandi differenze: le radici sono all’aria aperta, asciugano rapidamente e sono molto ossigenate. Inoltre, le foglie rivolte verso il basso impediscono che l’acqua si accumuli nei colletti e nelle ascelle fogliari, riducendo il rischio di marciumi.

Per replicare queste condizioni in casa, è fondamentale utilizzare un vaso ben forato e arieggiato. Questo permette al substrato di asciugare rapidamente e di riossigenarsi. In natura, le radici aggrappate alla corteccia degli alberi asciugano pochi minuti, dopo la pioggia. Pertanto, non deve esserci ristagno d’acqua sul fondo del vaso e dovremmo lasciare asciugare bene la pianta prima di innaffiare nuovamente. In natura, le orchidee sono esposte a piogge monsoniche, ma grazie alla ventilazione, alle temperature miti e al fatto di non avere nulla che copra le radici, asciugano rapidamente.

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Dal loro portamento naturale, capiamo anche perché è importante evitare che l’acqua si accumuli nelle ascelle fogliari e nei colletti. In natura, l’acqua scorre via, quindi non sono piante abituate a rimanere bagnate in queste zone. Dopo qualche anno di coltivazione in casa, noterete che la Phalaenopsis tenderà a piegarsi in avanti, portando le foglie verso il basso. Non dobbiamo forzarla a rimanere dritta; è meglio assecondare il suo portamento naturale, che la aiuterà a vivere meglio.

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Tornando al substrato, dicevamo che per essere un buon compromesso, dovrebbe essere molto drenante e asciugare il prima possibile. Tuttavia, non esiste una soluzione perfetta che funzioni per tutti. Ognuno vive in un ambiente diverso. Potrei suggerire una miscela di corteccia, sfagno e perlite come il mix ideale, ma una persona che vive in un ambiente estremamente umido potrebbe scoprire che lo sfagno rimane sempre bagnato, causando marciume radicale.

L’idea è di iniziare a sperimentare con substrati diversi e trovare il giusto equilibrio. Ad esempio, il mio equilibrio, vivendo vicino al mare, è molto diverso da quello di chi abita nell’entroterra, in un ambiente più secco.

Personalmente, mi trovo molto bene con inerti come pomice, lapillo e lana di roccia. In un ambiente umido come il mio, corteccia e sfagno si deteriorano rapidamente, costringendomi a cambiare substrato ogni anno e mezzo. È importante fare attenzione alla qualità del substrato perché un substrato deteriorato altera le sue proprietà, può sballare il PH, diventare idrorepellente, o al contrario assorbire troppa acqua, mentre deteriora, produce anche azoto, riducendo l’ossigeno a livello radicale e aumentando il rischio di marciume.

Quindi, è utile sperimentare. Potreste provare a coltivare due piante con due substrati diversi e osservare quanto tempo impiega a asciugarsi. Se, ad esempio, avete condensa nel vaso per 12 giorni, potrebbe essere troppo, poiché le orchidee vogliono asciugare rapidamente. È vero anche che non abbiamo tempo di innaffiarle ogni giorno, quindi dovremmo trovare un substrato che consenta di innaffiarle con un ritmo sostenibile, ad esempio ogni 5-7 giorni.

2. La Luce:

Passiamo ora al secondo compromesso che le orchidee devono affrontare quando decidiamo di portarle in casa: la luce.

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Questo è, per me, il fattore principale. Le orchidee si adattano a quasi qualsiasi condizione, purché ricevano la luce necessaria. Se hanno abbastanza luce, possono accontentarsi anche di acqua di qualità non eccelsa e di temperature leggermente più basse o più alte, rispetto a quelle consigliate. La luce è ciò che permette loro di ricaricare le batterie attraverso la fotosintesi. Solo con una buona esposizione luminosa riescono a assorbire acqua e nutrienti dalle radici e a trasformarli in energia per rimanere in vita, produrre nuove foglie, fiori e radici, continuando così il loro ciclo vitale.

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Qui abbiamo due esempi di Phalaenopsis in natura: la Phalaenopsis pulcherrima, che si trova quasi in pieno sole, e la Phalaenopsis cornu-cervi, che riceve anch’essa molto sole. Tuttavia, se le mettiamo al sole diretto in casa, rischiamo di bruciarle. In natura, tollerano questa esposizione solare perché il cielo è spesso velato da una leggera coltre di nuvole di umidità e da piante soprastanti che le ombreggiano in alcune ore della giornata.

In generale, le orchidee hanno bisogno di un’ottima esposizione luminosa, sia in termini di quantità che di durata. Parlando di orchidee tropicali, il fotoperiodo (ossia la lunghezza del giorno rispetto alla notte) è abbastanza equilibrato: hanno circa 10/12 ore di luce e 10/12 ore di buio. Tuttavia, noi, vivendo più a nord rispetto all’equatore, abbiamo inverni con giornate molto corte, che possono arrivare a sole 6-8 ore di luce al giorno. Quindi ci troviamo ad affrontare il problema sia della quantità di luce che della durata del giorno.

L’ideale sarebbe posizionare le orchidee in una finestra esposta a est, ovest o sud.

La luce non fa curve e non si piega; la luce che entra in casa e rende una stanza luminosa, non è sempre diretta, ma spesso composta maggiormente dal riflesso della luce che colpisce il pavimento del balcone o la facciata del palazzo di fronte. Ogni volta che la luce colpisce una superficie e si rifrange, perde esponenzialmente la sua intensità.

Quindi, una stanza che sembra luminosa per noi potrebbe risultare buia per una pianta. Immaginiamo di trovarci al mare, sotto un gazebo o un ombrellone: non siamo esposti al sole diretto, ma la luce è comunque molto intensa. Ci aspetteremmo che le piante ricevano un’ombra luminosa, simile a quella che possiamo avere al mare sotto un ombrellone.

Mettere l’orchidea su un tavolo al centro della stanza o su un mobile che si affaccia sulla stanza potrebbe equivalere a esporla al buio. Una buona posizione per la pianta è dove possa vedere una porzione di cielo e ricevere luce diretta naturale.

Tornando al fotoperiodo, in inverno non abbiamo le 10-12 ore di luce. Spesso abbiamo sole solo dalle 8:00 del mattino fino alle 3:00 o 4:00 del pomeriggio, e ci sono giornate nuvolose in cui la luce è praticamente assente. In questi casi, una buona soluzione potrebbe essere integrare l’illuminazione con lampade a spettro completo (Grow Light). La Phalaenopsis intesa come ibrido commerciale si adatta bene anche alla luminosità di una finestra senza necessità di Grow Light. Tuttavia, se vi appassionate a coltivare generi come le Cattleya o i Dendrobium, che richiedono una maggiore intensità luminosa, le Grow Light possono esservi d’aiuto, sia per aumentare la durata del fotoperiodo, che per garantire una quantità adeguata di luce in particolar modo, durante i mesi invernali.

3. Le Temperature:

Siamo al terzo dei 5 compromessi per la cura delle orchidee, ci concentriamo sulle temperature.

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Credo che questo aspetto sia più gestibile rispetto alle altre esigenze delle orchidee, soprattutto per quelle appartenenti alla fascia tropicale. Queste piante, infatti, vivono bene in climi miti con temperature minime intorno ai 18°C.

È fondamentale monitorare le temperature massime e minime all’interno della propria casa. L’ideale sarebbe utilizzare un termometro dotato anche di igrometro per controllare l’umidità ambientale. Tenere sotto controllo questi fattori è cruciale per prevenire possibili crisi nella pianta. Ad esempio, se un’orchidea inizia a presentare foglie rugose, non è necessario innaffiarla ulteriormente se il substrato è già umido e il vaso risulta pesante. In questo caso, potrebbe essere che, a causa dell’uso del climatizzatore in estate, o dei caloriferi in inverno, l’umidità ambientale della stanza sia scesa in modo prolungato a valori al di sotto del 50%.

Avere questi dati in mano è essenziale per capire come aiutare la pianta a stare meglio. Spesso ricevo richieste di aiuto riguardo orchidee in difficoltà e mi rendo conto che spesso non si hanno informazioni sulla loro esposizione alla luce, sulle temperature massime e minime e sull’umidità ambientale nelle vicinanze della pianta.

È un errore comune mettere le orchidee da clima caldo in cantina o in garage a 10-12°C pensando di stimolare la fioritura; ma in realtà, ciò che promuove la fioritura è principalmente la luce.

D’altro canto, altri generi come molti Dendrobium, Oncidium e Cattleya necessitano di temperature minime intorno a 11-12°C durante l’inverno, per loro sentire l’arrivo del freddo è essenziale come trigger per prepararsi alla fioritura primaverile. Durante i mesi più freddi si adattano alle condizioni meno favorevoli, rallentando la crescita vegetativa e la produzione di radici.

Se le orchidee rimangono sempre in casa durante tutto l’anno, non percepiscono il cambio di stagione e non avvertono mai l’esigenza di fiorire, poiché non hanno mai sperimentato il freddo necessario per attivare questo processo.

In sintesi, per stimolare la fioritura, per le orchidee da caldo, la luce è il fattore chiave; per quelle da inverno mite, dobbiamo concentrarci sia sulla luce, che sullo sbalzo termico autunnale.

4. L’acqua:

Il quarto compromesso per far sopravvivere le orchidee in casa riguarda due problemi fondamentali legati all’acqua: la qualità e la quantità. Parlando di qualità, c’è una differenza sostanziale tra l’acqua piovana e quella del rubinetto. Per quanto riguarda la quantità, è importante capire quando e come innaffiare, per evitare i marciumi e gestire le concimazioni.

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La questione dell’acqua suscita molte domande, perché in natura le orchidee ricevono acqua piovana ed è questo il compromesso più difficile da replicare in casa.

Quando piove, le orchidee epifite ricevono l’acqua che scorre lungo la corteccia degli alberi a cui sono aggrappate. Durante questo passaggio, l’acqua si sporca, dilavando ciò che trova sulla corteccia, come vecchie foglie decomposte ed escrementi. Le radici delle orchidee assorbono quest’acqua, che ha acquisito nutrienti mentre scorre lungo le piante.

L’acqua del rubinetto contiene elementi che non possono essere assorbiti dalle orchidee, come il cloro, il calcare e tanti altri. Questi elementi sono in una forma non assimilabile dalle orchidee e possono cristallizzarsi nel substrato, creando un accumulo di sali sul velamen, che è la parte più esterna e spugnosa delle radici che assorbe l’acqua e la trasporta all’interno del filamento radicale. Se l’acqua è troppo pesante e carica di elementi non utilizzabili, rischiamo di danneggiare il velamen, il quale non riesce più a svolgere la sua funzione, causando una scarsa idratazione della pianta e un’assimilazione ridotta dei nutrienti.

L’ideale sarebbe trovare un compromesso tra acqua piovana e acqua del rubinetto. Capisco che non sempre sia semplice trovare acqua di buona qualità, come l’acqua demineralizzata, che può essere scomoda da procurare. Un compromesso utile potrebbe essere mescolare acqua piovana o distillata con acqua del rubinetto. In questo contesto, uno strumento molto utile è il conduttivimetro, che ci permette di misurare la qualità dell’acqua.

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So che acquistare strumenti come un conduttivimetro può sembrare noioso, soprattutto rispetto al comprare un lucidante per le foglie, che offre risultati estetici immediati. Tuttavia, l’uso di un lucidante non risolve i problemi legati alla traspirazione e all’ossigenazione delle foglie; si rischia di applicare solo una patina oleosa sulla pianta e rimandare o peggiorare problemi di idratazione della pianta.

Il conduttivimetro è utile anche per monitorare la temperatura dell’acqua che non dovrebbe essere troppo fredda. Avere il conduttivimetro ci consente di mescolare l’acqua piovana e del rubinetto e controllare la temperatura, oltre a permetterci di aggiungere concime con cognizione.

Riguardo alla conservazione dell’acqua piovana, l’ideale sarebbe raccoglierla in contenitori progettati appositamente, per evitare l’ingresso di luce o impurità. Se invece la raccogliamo con secchi o contenitori aperti, è consigliabile filtrarla, tenerla al buio per prevenire la formazione di batteri e utilizzarla al massimo entro pochi giorni.

Se avete una collezione di orchidee in crescita, un depuratore ad osmosi inversa potrebbe rivelarsi un ottimo investimento, soprattutto se iniziate a utilizzare grandi quantità d’acqua. L’acqua di scarto può essere riutilizzata per innaffiare piante più rustiche o lavare a terra in casa.

Per concludere, se misuriamo l’acqua con il conduttivimetro e ci assicuriamo che i valori siano ottimali, possiamo gestire meglio l’irrigazione delle orchidee. La chiave è bilanciare l’acqua che forniamo, monitorando i valori per assicurare che le orchidee ricevano ciò di cui hanno veramente bisogno.

Come innaffiare

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Il metodo più comune per irrigare le orchidee è senza dubbio l’immersione, viene consigliato quasi sempre di immergere le orchidee per idratare adeguatamente il substrato ed evitare un errore grave: annaffiare poco e frequentemente, pensando: “Non so quanta acqua serve, quindi le do solo un goccino”. Questo è un errore da evitare, soprattutto con le orchidee epifite, che invece necessitano di essere bagnate abbondantemente, come se ricevessero una pioggia monsonica, e devono poi asciugarsi bene, come se le radici fossero all’aria aperta.

L’immersione è un metodo valido perché consente di saturare il substrato, ma è fondamentale essere consapevoli di ciò che si trova all’interno del vaso. Infatti, all’interno potrebbe esserci una gabbietta di coltivazione centrale, realizzata in torba o sfagno, che si inzuppa di più rispetto al bark utilizzato esternamente e che ha tempi di asciugatura diversi e molto più lunghi. Così, se il vaso appare asciutto all’esterno e si continua a immergerlo, si rischia di inzuppare continuamente quel panetto centrale di torba o sfagno, che non asciugando mai, potrebbe portare al marciume radicale.

Pertanto, l’immersione può essere efficace se si conosce il contenuto del vaso. Se il vaso è ben forato e arieggiato, è probabile che quando sarà asciutto all’esterno, lo sarà anche all’interno, dove non posso arrivare a vedere.

Tuttavia, questo metodo di immersione è praticabile se si hanno poche piante. Personalmente, ho molte orchidee e spostarle tutte sarebbe complicato. Così, ho sviluppato un mio sistema di irrigazione. Utilizzo uno zaino con una pompa a batteria, in grado di contenere 16 litri d’acqua. È pesante, ma per chi ha diverse orchidee, è estremamente comodo.

Ascoltare i consigli da varie fonti può aiutare a sviluppare il proprio metodo di coltivazione. Ognuno ha le proprie preferenze: il modo di annaffiare, il tipo di substrato, le tecniche di concimazione. È fondamentale trovare ciò che funziona meglio nel proprio ambiente. Ad esempio, io preferisco annaffiare direttamente sul posto, senza spostare le piante. Con il tempo, ho trovato la giusta quantità d’acqua da erogare, in modo che nel sottovaso ci sia solo un minimo di acqua, che non rimane stagnante e che viene presto assorbito per capillarità.

Per evitare il marciume radicale, è cruciale annaffiare abbondantemente e consentire al substrato di asciugarsi completamente prima di annaffiare nuovamente. Se non si è certi di quanto bagnare, è meglio non bagnare affatto e tornare a controllare dopo qualche giorno. Le orchidee hanno riserve d’acqua nelle foglie e negli pseudobulbi, quindi riescono a sopportare meglio periodi di siccità che di eccesso d’acqua.

Se il substrato rimane umido troppo a lungo, potrebbe essere il momento di valutare se è diventato troppo vecchio, in alcuni casi, compaiono anche funghi bianchi o rossi che indicano che l’ambiente è troppo umido e privo di ossigeno.

5. L’aria:

Il quinto grandissimo compromesso riguarda l’aria.

Anche in una giornata con poco vento, l’aria fuori è comunque in movimento, mentre in casa è ferma e in prossimità delle piante l’umidità può diventare stagnante.

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Cosa succede? Con l’aria stagnante, i funghi proliferano facilmente, attaccando il colletto o le radici delle orchidee. Esistono tantissime tipologie di funghi e può essere difficile trovare un prodotto efficace per combattere quello specifico che ha infettato la nostra pianta. L’ideale sarebbe prevenire e impedire il proliferare di funghi favorendo il più possibile una buona circolazione dell’aria.

Le orchidee vivono nelle foreste pluviali, dove il clima monsonico offre molta umidità, ma c’è sempre movimento d’aria. Se l’aria è stagnante, l’umidità tende a scendere verso il basso e si deposita sopra le foglie. Quando si forma una cappa di umidità stagnante, l’orchidea non riesce a traspirare correttamente. Gli stomi sulle foglie non possono funzionare come dovrebbero, limitando l’uscita dell’umidità.

In estate, le orchidee traspirano anche per sopportare le alte temperature, proprio come noi sudiamo.

Personalmente ho installato delle ventoline USB nella mia struttura. Queste sono ventoline per computer, facilmente reperibili; basta collegarle a un caricatore USB. Nella mia struttura ho un timer che controlla sia le luci che le ventoline. In questo modo con un solo dispositivo ho risolto i problemi di esposizione e ricircolo d’aria.

Non è necessario che le ventoline siano impostate a un livello molto forte; un movimento d’aria impercettibile è sufficiente per far circolare l’umidità tra le piante. Anche se accendiamo l’umidificatore e le ventoline, l’aria umida non sparisce, ma rimane in movimento.

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Se non vogliamo usare ventoline, è importante monitorare se e quando è necessario migliorare il ricircolo dell’aria intorno alle orchidee, soprattutto quando le temperature sono elevate o dopo aver annaffiato, quando l’umidità aumenta. Possiamo migliorare il ricircolo distanziando le piante e aprendo le finestre.

L’equilibrio perfetto per coltivare orchidee in casa deve essere un mix di acqua, luce e temperature

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riassunto finale!

  • è fondamentale avere pazienza prima di effettuare troppi spostamenti.
  • Se un’orchidea non sta bene, cerchiamo di capire se ha ricevuto le giuste temperature, umidità e se il substrato è adeguato.
  • Se la riceviamo in regalo, dovremmo rimuovere il prima possibile vasi di vetro o decorazioni che potrebbero soffocarla.
  • Le orchidee non dovrebbero essere considerate come decorazioni, ma esseri viventi e in quanto tali hanno bisogno di aria e luce, ricordando che anche se per noi una stanza sembra ben illuminata, per l’orchidea potrebbe essere buio.
  • Al momento dell’innaffiatura il substrato andrebbe innaffiato a fondo, ma solo quando è tornato completamente asciutto da quella precedente.
  • Meglio non esagerare con concimi e prodotti. Se un’orchidea non sta bene, non basta comprare un biostimolante o un integratore per farla riprendere, questi supporti sono utili durante le fasi di crescita attiva, ma se la pianta non riesce a nutrirsi, continuare a somministrare nutrimenti può diventare dannoso.
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La cura delle orchidee in casa richiede di fare alcuni compromessi rispetto alle condizioni naturali in cui queste piante vivono. Comprendere i loro bisogni in termini di vaso, luce, temperatura, acqua e nutrimento ti permetterà di adattare l’ambiente domestico alle loro esigenze e mantenerle in salute a lungo.

Se desideri approfondire ulteriormente la cura delle orchidee e imparare a creare un angolo di coltivazione perfetto, scopri il metodo “Orchidee im-possibili”. Questo corso offre tutte le nozioni necessarie per comprendere le esigenze delle orchidee, monitorare i quattro ingredienti fondamentali per la loro cura e replicare le condizioni ideali per la loro crescita.

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